Una classifica di Dissapore che vi è piaciuta parecchio è Birre da discount: il meglio del peggio, in altre parole: Dissapore consigliaci 10 birre decenti quando Eurospin e Lidl, MD e Penny Market sono il tuo unico orizzonte per abusi, stravizi e sete chimica.
Al settimo e al sesto posto di quella classifica c’erano rispettivamente “Arcana” e “IPA 6.1% Vol”, due birre del birrificio Amarcord, sede legale a Rimini, produzione ad Apecchio, in provincia di Pesaro, da noi così descritto:
“Fabbrica le più apprezzate Tabachéra e Midòna, ma realizza una linea di ‘birre artigianali’ da discount per Target 2000, un grossista che dal 2000, appunto, distribuisce birra accettabile nella Grande Distribuzione non rinomata per il livello dell’offerta”.
Bene, ci colpisce sapere che adesso Mr. Amarcord, cioè l’imprenditore Roberto Bagli, è indagato dalla procura di Rimini.
Succede questo: nel luglio 2015 gli ispettori del Corpo forestale dello Stato sequestrano oltre un milione di etichette di birra Amarcord. Birra “genuina e non pericolosa” sia ben chiaro, ma secondo gli inquirenti 100% industriale e non artigianale.
E oggi che l’operazione “A tutta birra” è arrivata al capolinea, Bagli è stato iscritto nel registro degli indagati.
Ma quali requisiti deve possedere una birra per potersi definire artigianale?
All’epoca del maxi sequestro, due anni fa, non esisteva ancora una legislazione precisa, se non una norma generica del 1962 che prevedeva quattro tipi di birra –analcolica, leggera, speciale, doppio malto–, senza prevedere la dicitura “artigianale” che, nel vuoto normativo, è stata spesso usata in modo improprio dai produttori.
Ma da un anno, e precisamente dal luglio 2016, è entrata in vigore una legge che stabilisce i parametri di una birra artigianale.
La birra artigianale, ai sensi della nuova legge, non deve essere microfiltrata o pastorizzata, l’impresa di produzione deve essere indipendente e senza collegamenti con altre imprese. Infine, la produzione annua non deve superare i 200.000 ettolitri.
La birra Amarcord, invece, era prodotta da una società per azioni e non da un’impresa artigiana, in modo industriale e in grandi quantità, ma non sarebbe stata in regola neanche con la nuova legge, perché non rispettava uno dei parametri: era pastorizzata, cosa che impedisce l’utilizzo del termine artigianale.
Un caso di frode in commercio anomalo e complicato da un lungo vuoto legislativo improvvisamente colmato, che ha messo nei guai un birrificio da una parte non in regola con la legge ma dall’altra interprete di prodotti dalla qualità discreta, di sicura migliore da quella di tante birre industriali. Tanto che ancora oggi viene descritta come: “la birra artigianale più venduta d’Italia” (basta gugolare).
Eppure scrivere artigianale in etichetta ha creato “pubblicità ingannevole e concorrenza sleale”.
Giusto così?
[Crediti | Il Resto del Carlino]